Racconto inedito che sarà pubblicato nel libro intitolato Storie brevi. Trae spunto dalla lettura di atti di visite pastorali condotte alla fine del ‘500 alle diocesi a seguito delle disposizioni dettate dal Concilio di Trento. Durante una visita apostolica a un monastero di clausura di montagna, una badessa fa il possibile per tenere nascosto al vescovo visitatore l’esistenza di due monache gravide, temendo conseguenze per il monastero e per lei stessa. Una monaca è però costretta ad ammettere d’esserne a conoscenza. Il visitatore decreta la soppressione del monastero a causa della sua vulnerabilità e fatiscenza e raccomanda il trasferimento delle monache ad altro monastero di città.
Le monache di San Eulalio
Nell’anno 1574 erano trascorsi dieci anni dalla conclusione del Concilio di Trento. Nel 1517 Martin Lutero aveva affisso le 95 tesi riformatrici al portone della chiesa di Wittenberg. La Chiesa reagì, non immediatamente, contrastando Lutero, poi scomunicandolo, ma alla fine si rese necessario un Concilio per definire la riforma della Chiesa, detta poi Controriforma, e la reazione alle dottrine protestanti. Con il Concilio tridentino fu dato grande impulso alle diocesi imponendo ai vescovi la presenza nelle loro sedi e l’effettuazione di visite pastorali. Per testimoniare quanto avvenuto nelle visite venne richiesta la redazione di relazioni o atti. Dalla lettura di alcuni di questi è stato tratto lo spunto per questo racconto.
Le disposizioni del Concilio erano valide anche per il monastero agostiniano di San Eulalio, di clausura, ubicato sull’Appennino e appartenente alla diocesi di Modena. Al monastero era annessa una chiesa che serviva anche la popolazione del piccolo paese ai margini del quale si trovava il monastero. La chiesa era stata costruita a metà del ‘200 da due monaci benedettini che vi officiavano i riti religiosi per il paese. Nel 1330 i benedettini cedettero la chiesa a due monache francescane. Altre consorelle si affiancarono a queste e insieme diedero vita al monastero aggiungendo nuove costruzioni in relazione all’aggregazione delle converse. Le monache abbracciarono la regola di sant’Agostino e divennero agostiniane di clausura.
Grande agitazione regnava nel monastero di San Eulalio per l’annunciato arrivo del visitatore apostolico, vescovo di Chieti, inviato da papa Gregorio XIII per verificare la corretta applicazione delle disposizioni del Concilio e degli ordini lasciati nel 1571 dal vescovo di Modena durante la precedente visita pastorale. La badessa era molto preoccupata perché, inspiegabilmente, due monache erano rimaste incinte e la notizia era circolata nel monastero. Inspiegabilmente, perché era convinta che la clausura fosse ben protetta dalle tentazioni provenienti dall’esterno. Per evitare lo scandalo e l’irrogazione di provvedimenti disciplinari anche nei suoi confronti, la badessa aveva raccomandato a tutte le monache la massima riservatezza. Non avrebbero dovuto parlare delle gravidanze con il visitatore apostolico e i suoi accompagnatori. Sempre che non fosse stata loro diretta un’esplicita domanda.
Il visitatore apostolico fu ricevuto con tutti gli onori dalla badessa e dalle monache anziane. Per propiziare il felice esito della visita fu celebrata una messa accompagnata dal canto sublime delle monache. Subito dopo, il vescovo prese visione delle condizioni del monastero che, per le aggregazioni successive, era più somigliante a un caseggiato. Osservò che la manutenzione era scadente; la motivazione data fu che lo era per i limitati mezzi a disposizione. Per la prima volta il visitatore apostolico avrebbe utilizzato un questionario per porre interrogationes alla badessa e ad alcune monache scelte a caso tra le trentadue presenti nel monastero, con il fine di avere una visione complessiva e, indirettamente, conferma delle risposte della badessa. Questa fu chiamata a dare conto dei temi inerenti alla vita religiosa della comunità monastica quali: consistenza, possesso, lettura e osservanza della regola, regolare recita dell’ufficio, disponibilità di un confessore, frequenza della comunione e della confessione, proprietà comune. La badessa rispose senza esitazioni a tutte le domande del vescovo evitando di sfiorare il noto argomento. Il vescovo passò poi a interrogare le monache scelte a caso con domande riguardanti: obbedienza alla badessa, onestà, continenza rispetto alla clausura, contatti con il mondo esterno, vita comunitaria. Il questionario per le monache non prevedeva domande esplicite sul tema delle gravidanze bensì un quesito di questo tenore. “Non ha mai avuto notizia di gravidanze all’interno del monastero?” A questa domanda le prime due monache intervistate avevano risposto negando. La prima perché non ne era a conoscenza, la seconda mentendo per seguire le indicazioni della badessa. La terza intervistata non riuscì a mentire, cercò di sviare il discorso rispondendo che non era a conoscenza di che cosa fosse una gravidanza perché la sua condizione non glielo consentiva. Allora il vescovo, da buon padre, le disse: “Sorella, le avevo fatto tutt’altra domanda. Le avevo chiesto se avesse avuto sentore di gravidanze di monache all’interno del monastero”. A questo punto dovette per forza rispondere che era a conoscenza di una gravidanza in corso.
Allora il vescovo chiese alla badessa di intervistare tutte le monache, direttamente o tramite il vicario generale che l’accompagnava. Alla fine, risultò che due monache erano incinte. Allora il visitatore volle che fosse eseguito un’ispezione approfondita sulle possibilità di accesso al monastero, cosa che fu immediatamente eseguita da due zelanti accompagnatori. Fu trovato che alcuni rami di un albero sito nell’orto sporgevano oltre il muro di cinta del monastero in modo tale che un malintenzionato avrebbe potuto entrare da lì. Una volta entrato nell’orto avrebbe potuto attraversare il prato e raggiungere il grande pollaio all’interno del quale una porticina, chiusa dall’interno, comunicava direttamente con la cucina del monastero. Diede ordine di tagliare l’albero e, per sicurezza, tutti gli alberi vicini al muro di cinta. Inoltre, chiese di murare la porticina che dalla cucina conduceva al pollaio. Le cuciniere vi sarebbero entrate dall’esterno. Le due monache incinte furono interrogate dal vicario generale in presenza della badessa. Negarono entrambe di conoscere il malintenzionato che le aveva ingravidate e, tantomeno, di poterlo riconoscere perché i malfatti erano stati commessi di notte nell’oscurità della cucina. Dal canto suo la badessa dichiarò di non essere stata messa a conoscenza delle gravidanze. Il visitatore le lasciò il compito di dare una punizione esemplare alle due monache con la sola disposizione che, una volta partorito, fossero trasferite lontano, al monastero agostiniano di San Candido nella diocesi di Chieti. Lui stesso avrebbe dato direttive in tal senso.
La badessa comminò alle due monache uguale punizione. Fino a che non avessero partorito, da brave cuciniere che erano, furono destinate esclusivamente alla pulizia del monastero, ad attingere l’acqua dal pozzo per i fabbisogni della comunità e alla raccolta dell’immondizia e degli escrementi delle monache. Infine il vescovo, resosi conto della situazione generale del monastero in luogo isolato e poco sicuro, con una chiesa non bene suddivisa tra interna (monache) e esterna (popolo), come espressamente disposto dal Concilio per le chiese dei monasteri di clausura, decise di raccomandarne la chiusura e chiedere al vescovo di Modena, superiore diretto della badessa, il trasferimento delle monache a un monastero della città. Lasciò i seguenti ordini: Essendo questo monastero non solo in luogo si può dire solitario ma secolare forma di clausura, oltre che nella chiesa si esercita la cura delle anime, Ill.mo Rev. Vescovo faccia in modo che si trasferisca alla Città e si uniscano le monache ad altri monasteri dello stesso Ordine, il che quando così al presente per qualche legitimo impedimento non si possa fare, non si manchi in questo modo di procedere alla risoluzione delle cose che ci sono parse degne di presentare rimedio.
Fu così che nel 1580, esattamente dopo 250 anni, le monache di San Eulalio dovettero abbandonare il loro monastero.
Breve ma corretto. Vedi come Wilbur Smith, riesce a scrivere i suoi romanzi, basati su una parte storica e conoscenze dell’African system.
Bravo
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