La fontana di montagna


Nei paesi di montagna, nelle piazze o lungo le vie principali, è ancora possibile trovare fontane, dette anche fontanelle, che un tempo erano indispensabili per fornire acqua potabile alla popolazione, dato che le case non disponevano di acqua corrente. La fontana di cui si parla è costituita da una vasca di pietra a forma di parallelepipedo lunga due metri, larga uno e alta poco più di un metro. La sua capacità è notevole: circa duemila litri. L’acqua, limpidissima e fredda, vi affluisce attraverso un tubo metallico a forma di manico d’ombrello, posto alla metà di uno dei lati lunghi, che riversa un getto continuo di otto-dieci litri al minuto. La grande superficie della vasca permetteva di riempire, per immersione, due grandi secchi contemporaneamente.

     Un primo pomeriggio di agosto, in uno di questi paesi di montagna, Enrico e la moglie Laura, ottantenni villeggianti, rientravano in paese dopo una gita nei dintorni. Avevano pranzato in una baita: lui aveva mangiato polenta, uova e speck, mentre lei, più attenta, aveva scelto una zuppa d’orzo. Enrico, però, non aveva ancora digerito e aveva ancora molta sete, che aveva placato solo in parte durante il rientro bevendo l’acqua rimasta nella borraccia termica. Giunti in piazza, si diresse senza esitare verso la fontana, estrasse la borraccia dallo zaino e cercò di avvicinarla alla bocca del tubo, posta sul lato opposto della vasca. Non essendo molto alto, dovette sporgersi sopra lo specchio d’acqua limpida e, mentre iniziava a riempirla, la borraccia gli sfuggì di mano.  Nel tentativo di evitare che finisse nella vasca, perse l’equilibrio, scivolò sulle pietre bagnate alla base della fontana e cadde con un tonfo, finendo inspiegabilmente sul fondo, senza riemergere.

     Laura assistette impotente alla scena. Piccola di statura, riusciva a malapena a vedere il marito, immobile, attraverso l’acqua cristallina. Disperata, gridò con tutte le sue forze, attirando l’attenzione di due giovani che passeggiavano sull’altro lato della piazza. Accorsero subito: uno scavalcò la sponda e si immerse, l’altro lo aiutò a sollevare Enrico, ormai cianotico e gelido come l’acqua che lo aveva accolto. Lo adagiarono sul selciato e provarono a rianimarlo con un massaggio cardiaco e la respirazione bocca a bocca. Non ci fu nulla da fare. Il medico, arrivato con l’ambulanza venti minuti più tardi, ne constatò il decesso. Laura rimase immobile accanto al corpo del marito, mentre la piazza si svuotava lentamente: alcuni curiosi si fermarono a distanza, mormorando tra loro, altri, con discrezione, si allontanarono.

     Rimasta sola nella piazza, ormai silenziosa, si voltò verso la fontana: l’acqua continuava a scorrere limpida e fredda come sempre. Le venne un pensiero strano, quasi superstizioso: quella fontana, immutata nel corso degli anni, avrebbe ricordato per sempre ciò che era accaduto più di quanto potessero fare le persone.

     Nei giorni seguenti, il paese parlò a lungo della tragedia. Alcuni anziani si fermavano davanti alla fontana mormorando frasi di commiato, mentre i bambini, ai quali era stato detto di non avvicinarsi troppo, guardavano l’acqua con un misto di timore e curiosità. Da allora, si racconta che nelle prime ore del mattino, quando la piazza è ancora deserta, nell’acqua della fontana compaia il riflesso di una figura curva, come se qualcuno stesse ancora riempiendo una borraccia.

Lascia un commento