Racconto inedito, di genere poliziesco, pubblicato nel libro Le chiavi di Portofino e altri racconti. Una sera due coniugi anziani ricevono la visita dei ladri nella casa di vacanze mentre si trovano al ristorante con amici. Non riescono a capacitarsi di come possa essere avvenuto il furto perché le serrande della casa erano chiuse e l’allarme inserito. Svelerà il mistero un brigadiere dei carabinieri con l’aiuto del RIS e degli stessi coniugi.
Le chiavi di Portofino e altri racconti é disponibile presso Youcanprint, Amazon e le librerie online e fisiche di Mondadori, Hoepli, Feltrinelli, ibs.it.
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L’editing del racconto è differente da quello del libro a causa dei diversi programmi di scrittura.
Le chiavi di Portofino
Luca e Irene Colzani erano due anziani coniugi con buona disponibilità economica. Passavano l’estate al mare, a Portofino, ad eccezione del mese di agosto in cui andavano in montagna a Courmayeur. Stavano in un condominio esclusivo sulla collina prospiciente il porto, sopra l’Hotel Splendido, poco meno di ottanta metri sul livello del mare. L’edificio, di tre piani, aveva due appartamenti per piano. Tanti anni prima avevano acquistato i due appartamenti al primo piano, poi riuniti per creare un’abitazione ampia e confortevole. L’edificio era a gradoni. Il primo piano era arretrato rispetto al piano terreno e così il secondo rispetto al primo. Mentre i proprietari del piano terreno disponevano di un giardino ampio e ben tenuto, l’arretramento delle porzioni di edificio ai piani superiori consentiva a ciascuno dei proprietari di disporre di una grande terrazza affacciata sul golfo. Quella dei Colzani aveva una fioriera per tutta la lunghezza, larga un metro e mezzo, con piante di erica che in febbraio-marzo si coprivano di bellissimi fiori rosa. D’estate, dopo il tramonto, dalla montagna alle spalle della casa scendeva aria fresca, ideale per dormire bene, come fosse aria condizionata. La casa spaziosa permetteva di ospitare, di volta in volta per un week end o anche per periodi più lunghi, la famiglia di uno dei due figli oppure un paio di nipoti con la Tata. Il grande appartamento era di forma rettangolare con il lato maggiore di 24 metri e il minore di 12. Era diviso in senso longitudinale in due parti, suppergiù uguali. Nella prima, che guardava a sud, leggermente più larga, si trovavano in successione uno studio, un grande salotto, una sala da pranzo e un salottino per la televisione. La parte retrostante, a nord, disponeva, alle estremità, di due zone notte distinte, retaggio della riunione dei due appartamenti, ciascuna con due camere da letto e relativi bagni. Nel mezzo delle due zone notte c’erano la cucina e un grande tinello. A parte lo studio, regno esclusivo di Luca, i coniugi vivevano prevalentemente nella parte est della casa, corrispondente a uno dei due appartamenti. Utilizzavano, però, come ingresso all’abitazione quello dell’altro appartamento. La zona notte ovest, una volta destinata ai figli, era a disposizione degli ospiti.
Da più di due settimane si stavano facendo lavori di ristrutturazione in uno degli appartamenti al piano terreno. Irene si lamentava spesso con Luca dei rumori e della polvere che si depositava sulla terrazza. Nonostante le dimensioni dell’appartamento, non disponevano di personale di servizio fisso. Avevano Maria, una donna di servizio a ore la mattina, e un’altra donna, per stirare, due volte la settimana. La cucina era appannaggio di Irene, grande cuoca. Quando avevano ospiti usavano come aiuto cuoco e cameriere il marito di Maria, nel passato imbarcato su navi da crociera.
Era un sabato alla metà di luglio. Nonostante la magnifica giornata, avevano deciso di non andare alla spiaggia di Paraggi e di prendersela comoda, soprattutto perché nei weekend di luglio Santa Margherita, Paraggi e Portofino erano assaliti da torme di turisti mordi e fuggi. Inimmaginabile cosa doveva essere il mese di agosto. Per questo motivo si traferivano allo chalet di Courmayeur. Irene approfittò per fare alcuni lavoretti che aveva in sospeso, mentre Luca si dedicò a una delle sue recenti passioni, la pittura digitale, con la quale aveva realizzato apprezzabili panorami del golfo del Tigullio, del porto di Portofino e della baia di Paraggi. Per la serata Luca aveva prenotato una cena da Tripoli, a Portofino, con una coppia di amici. Prima di uscire abbassò con il telecomando centralizzato tutte le serrande, rese elettriche qualche anno prima, e inserì il sistema di allarme volumetrico che copriva tutto l’appartamento. Presero l’auto elettrica, la lasciarono in piazza all’autosilo, e raggiunsero il ristorante nella piazzetta. Salutarono affettuosamente Elio e Letizia che non vedevano da mesi. Cenarono con un ottimo antipasto di pesce e un piatto di gustose lasagne al pesto, specialità della casa. Bevvero un Pigato speciale. Dopo cena rientrarono a casa felici, contenti di avere chiacchierato a lungo con gli amici e di avere mangiato bene. Luca disinserì l’allarme e alzò le serrande delle portefinestre della sala da pranzo e della saletta della televisione. Guardarono due episodi della serie Designated Survivor e verso l’una di notte chiusero le serrande e andarono a dormire in camere separate, come facevano ormai da dieci anni. Dormivano nello stesso letto solo quando erano in viaggio, ospiti o in albergo, e il giorno dell’anni-versario di matrimonio.
Si svegliarono con l’impressione di non avere dormito bene. Irene era convinta di non avere digerito le lasagne e si lamentò con Luca che, invece, diceva di avere la testa pesante. Andarono in cucina a fare colazione. “Ieri sera, al rientro, hai lasciato il portachiavi qui, sul tavolo della cucina” disse Irene. Avevano in comune un portachiavi di pelle nera con le chiavi di casa di Milano, Portofino e Courmayeur e delle rispettive casseforti. “Può darsi, non mi sono accorto. Le lascio sempre sulla scrivania in camera”, rispose Luca. Poi azionò l’apertura centralizzata di tutte le serrande mentre Irene andò ad aprire le portefinestre che davano sulla terrazza. Tornando in cucina si accorse che sulla consolle del soggiorno non c’era più il vasellame d’argento. In particolare, era scomparsa l’elegante anfora sferica, alta venticinque centimetri, con due bocche opposte unite da un manico stilizzato, di finissima fattura. Era la riproduzione in argento massiccio di un originale in terracotta presente nel museo di antropologia di Città del Messico, dono di un cliente messicano ai tempi in cui Luca era amministratore delegato di una importante gruppo internazionale. Un oggetto di grande pregio.
Sconcertati, ispezionarono immediatamente la casa per vedere cos’altro mancasse. Erano scomparsi anche i servizi da tè e da caffè d’argento, doni di matrimonio degli zii di Irene. Apparentemente nient’altro. Luca ebbe, però, un presentimento: “La cassaforte!”, gridò senza rendersi conto. “Le chiavi!”. “Il portachiavi è qui dove l’hai lasciato! Stai calmo”, cercò di tranquillizzarlo Irene. “Meno male! Speriamo bene ma, … per toglierci la preoccupazione, apriamo la cassaforte”, disse Luca, agitato. La cassaforte a muro si trovava nello studio dietro un quadro incernierato alla parete. Era a prova di scasso, sicura, molto sicura … “Per la miseria, l’hanno svaligiata! Guarda Irene, hanno rubato tutti i tuoi gioielli e i miei orologi. Hanno lasciato solo i documenti! Vigliacchi!”. “Da che parte saranno entrati? Come e quando?”, domandò Irene, molto preoccupata. “Verifichiamo subito se hanno scardinato una finestra dell’area ospiti”, disse concitato Luca. Le finestre erano tutte a posto. “Da dove possono essere entrati, come e quando?”, ripeté meccanicamente Luca. “Sicuramente non sono entrati in casa quando eravamo da Tripoli. Le serrande erano chiuse e l’allarme inserito. Se fossero entrati dalla porta d’ingresso avrebbero dovuto avere la chiave e disinserito l’allarme. Perciò avrebbero dovuto disporre di uno dei codici. Chi può essere stato? … Vedi se è al suo posto la chiave con l’anello, quella che lasci sempre sul piatto d’argento sul comò all’ingresso”. “La chiave non c’è più e non c’è neanche il piattino!”, esclamò allarmata Irene. “Scomparsi? C’erano ieri sera quando siamo usciti?”. “Non ho fatto caso”, rispose Irene. “Allora, escludendo il portinaio [che disponeva di un duplicato della chiave di casa e di un suo codice d’allarme] per il quale metto la mano sul fuoco, la chiave deve essere stata rubata da qualcuno che è venuto da noi nei giorni scorsi”. “Ammesso che sia come dici, non penso che chi ha rubato la chiave abbia rubato anche il piattino d’argento”, commentò Irene. “Allora com’è possibile? Ti ricordi quando hai usato l’ultima volta la chiave con l’anello?”, chiese Luca. “Credo giovedì sera, quando ho chiuso la porta e non trovavo il portachiavi, ricordi?” “Pertanto, la chiave e il piattino sono stati rubati venerdì! Ieri non è venuto nessuno. Chi è entrato in casa venerdì? Ti ricordi?”, chiese nervosamente Luca. “Quattro persone: il giardiniere e il suo aiutante, che sono venuti per sistemare gli oleandri della terrazza e sono andati avanti e indietro un paio di volte, Maria e l’uomo dell’acqua minerale. Escludo quest’ultimo perché l’ho fatto entrare in casa con la cassa e ho atteso che uscisse dalla cucina con le bottiglie vuote. Ricordo di averlo pagato là, sulla porta di casa”, rispose Irene con grande dettaglio. “Se sei certa che venerdì non sia entrato nessun altro vuol dire che dovrebbe essere stato uno dei tre: il giardiniere, l’aiutante o Maria. Non credo però che sia stata lei. È con da noi da un bel po’ di tempo. Non penso proprio che si sia prestata a rubare la chiave”, disse Luca. “Non si sa mai. Non mi è mai piaciuta troppo. È brava ma lunatica”, commentò Irene. “Questo è vero”, aggiunse Luca, “ha anche il difetto di non rimettere a posto le cose che sposta quando fa la polvere! … Vito, il giardiniere, è una brava persona, lo conosciamo da anni. Il nuovo aiutante, però, ha una faccia che non mi piace tanto”. “Vito è anche il giardiniere del verde condominiale e dei condòmini al piano terreno”, precisò Irene. “Ad ogni modo”, continuò Luca, “chiunque sia entrato in casa, oltre ad avere la chiave doveva conoscere uno dei codici dell’allarme. Ma è inutile che ci arrovelliamo. Questa mattina vado a sporgere denuncia ai carabinieri”, concluse Luca.
Detto fatto, fece una doccia, si vestì, salì in macchina e andò al comando dei carabinieri di Santa Margherita dove era stato un paio d’anni prima quando avevano rubato a Irene la borsa col portafoglio. Attese neanche un quarto d’ora, poi un appuntato predispose con lui la denuncia e l’assicurò che si sarebbero attivati la mattina seguente. Avevano un gran daffare con i furti. Nel frattempo, aggiunse l’appuntato: “non toccassero nulla, non facessero entrare nessuno e non facessero le pulizie. Il caso non è dei più semplici. Interverranno gli specialisti del RIS, reparto investigazioni scientifiche”.
Lunedì alle 9.00 in punto giunsero a casa un brigadiere e tre specialisti in tuta e soprascarpe bianche. Mentre il RIS iniziava a fare il proprio lavoro, il brigadiere si accomodò al tavolo del tinello per approfondire il caso con i coniugi Colzani. “Sono il brigadiere Michele Rigoli. Seguirò il vostro caso fino alla conclusione. Ho studiato la denuncia e, per ora, non posso fare ancora alcuna ipotesi. Interrogheremo il portinaio, i giardinieri, le donne di servizio e il marito cameriere, ma non pensiamo che c’entrino. Dovremo approfondire la meccanica del furto. Prima di tutto alcune domande. L’elenco della refurtiva allegato alla denuncia è completo? Avete fatture che descrivono gli oggetti o, meglio ancora, fotografie?”. Luca era una persona precisa e previdente. Aveva le fotografie di quasi tutti i gioielli rubati e di alcuni pezzi d’argento, in particolare dell’anfora messicana a due bocche. Andò allo studio, prese la cartelletta con le foto e le mostrò al brigadiere. “Molto bene, molto utile. Prendo temporaneamente in consegna la cartelletta. Faremo immediatamente una ricerca presso i ricettatori abituali e vedremo cosa salterà fuori. Ritornerò mercoledì pomeriggio, quando sarà disponibile il rapporto del RIS. Oggi ne avranno ancora per tre/quattro ore. Arrivederci. “Grazie molte, brigadiere. A mercoledì”.
Gli specialisti del RIS terminarono le indagini verso le tre del pomeriggio e, vista l’ora, Irene offri loro panini al prosciutto e Coca Cola. Luca approfittò per cercare di ottenere anticipazioni. Il responsabile dei tre disse: “In via eccezionale vi posso dire che abbiamo trovato riscontri del passaggio di una persona sia sulla terrazza che in casa. Di più non vi posso dire”. Avrebbero dovuto attendere le comunicazioni del brigadiere. “Grazie anche a nome dei colleghi per gli ottimi panini! Arrivederci”. “Grazie. Arrivederci”.
Puntuale, mercoledì pomeriggio giunse il brigadiere. Disse che gli specialisti del RIS avevano trovato sulle piastrelle della terrazza leggere tracce di polvere di cemento che conducevano dalla fioriera alla portafinestra dello studio. “Hanno poi rilevato tracce lasciate da piedi scalzi dalla portafinestra a uno dei bagni dell’area ospiti, come voi la chiamate. Queste tracce si ritrovano anche in giro per l’appartamento, fino alla camera matrimoniale …”. “Dove dormo io”, lo interruppe Luca. “… poi da lì alla cassaforte nello studio. Abbiamo dedotto che il ladro abbia cercato e trovato nella camera le chiavi della cassaforte”, concluse il brigadiere. “Ecco”, interruppe di nuovo Luca rivolgendosi a Irene, “le avevo proprio portate in camera!”. Il brigadiere aggiunse: “Vorrei avere conferma che nei bagni dell’area ospiti non sia posizionato un sensore d’allarme”. Verificò. Nel bagno piccolo non c’era. “Proprio sul pulsante dello sciacquone di quel bagno”, disse il brigadiere, “il RIS ha rilevato impronte digitali diverse dalle vostre e da quelle delle donne di servizio e del cameriere. Sono molto nette e marcate. Dobbiamo ancora scoprire come il ladro abbia saputo che il bagno piccolo era un nascondiglio sicuro a sistema d’allarme inserito”. “Abbiamo fatto, comunque, un bel passo avanti”, commentò Luca. “Dimenticavo di dire”, aggiunse il brigadiere, “che non è ancora chiaro come il malvivente abbia lasciato l’apparta-mento”. “L’aiutiamo noi”, intervenne Luca, “il ladro ha usato il doppione della chiave di casa che mia moglie lascia sempre sul piattino d’argento del comò all’ingresso. Non riusciamo più a trovare né la chiave, né il piattino”. “Includerò questa precisazione nel rapporto dell’indagine. Ritornerò domattina sul tardi e spero di darvi altre notizie. A domani” . “Grazie, brigadiere, a domani”.
“Ecco come pensiamo sia stata la meccanica del furto”, comunicò loro il brigadiere la mattina del giorno dopo, “il malvivente ha scalato la vostra terrazza dopo essere entrato nel giardino. Le tracce di polvere di cemento sulle piastrelle della terrazza dimostrano che è passato dal cantiere qui sotto. Quasi certamente ciò è avvenuto sabato dopo pranzo, quando facevate il riposino. Non visto, è passato attraverso l’erica, ha attraversato la terrazza, è entrato a piedi scalzi nello studio e ha raggiunto l’area ospiti. Lì è rimasto nel bagno piccolo per almeno otto ore, fino al vostro rientro. Non ha potuto muoversi dal bagno né quando eravate in casa, né quando siete usciti, perché sapeva che avreste inserito l’allarme, di cui aveva notato la presenza. Lì ha dovuto utilizzare il wc per i bisogni fisiologici, almeno una volta. Sebbene abbia usato guanti durante il raid nell’appartamento, non ha avuto la stessa precauzione con il pulsante del water. Ha così lasciato la firma. Purtroppo, anche l’Interpol ha confermato che è incensurato o incensurata, dato che le impronte dei piedi scalzi sono compatibili con quelle femminili”. “Molto chiaro, molto bene. Il prossimo passo?”, si entusiasmò Luca. “Dobbiamo attendere che saltino fuori i ricettatori. Non appena avremo notizie mi farò sentire”.
Una settimana dopo fu individuato a Genova un rigattiere che aveva in bella mostra, in vetrina, l’anfora messicana. Un pezzo non comune, se non unico, in Italia. Interrogato dai carabinieri, il rigattiere confessò di avere acquistato il pezzo da un collega che gli aveva detto che proveniva dalla svendita degli argenti di un’anziana signora. Il collega confessò, invece, di avere acquistato l’anfora da una giovane, di bella presenza, cortese, dalla quale aveva saputo che era un pezzo di pregio che la madre voleva vendere per necessità. Così fu incastrata Gabriella Staglieno, ginnasta, studentessa fuoricorso all’università di Genova, che confessò di avere architettato e compiuto il furto. Per necessità, disse, aveva bisogno urgente di soldi. Le impronte rilevate sul pulsante dello sciacquone coincidevano al 98,9% con le sue. Durante un sopralluogo in casa della madre anziana, all’oscuro delle malefatte della figlia, in fondo a un cassetto, i carabinieri trovarono la chiave con l’anello.
Il brigadiere andò a riferire ai Colzani gli sviluppi conclusivi dell’indagine. Riportò la chiave e, per sicurezza, raccomandò loro di cambiare la serratura della porta d’entrata. Comunicò che la Staglieno aveva confessato di essersi travestita da muratore e, approfittando del sabato pomeriggio, quando i lavori di ristrutturazione erano sospesi, essere entrata nel giardino della casa, avere avvicinato alla parete il trabattello dell’impresa e averlo usato per salire sulla terrazza. Attraversando con cautela l’erica aveva raggiunto una portafinestra aperta e, toltesi le scarpe, si era rapidamente nascosta in un bagno della parte dell’appartamento che la signora le aveva segnalato essere utilizzata saltuariamente dagli ospiti. Informazione che le era stata data tre settimane prima quando aveva fatto il giro della casa spacciandosi per un’ispettrice dell’ASL mandata a verificare che i bagni rispettassero le norme. “Ora ricordo”, disse Irene rivolta a Luca, “fu quel giorno che andasti a Milano al consiglio di amministrazione”. “Non mi hai mai detto nulla, però”. “Sì, è vero, me ne sono dimenticata”. “Irene, Irene, … la memoria non è un optional!”. “Non si adiri troppo dottor Colzani, dopotutto questo è uno dei pochi casi risolti in poco tempo”. “È vero, non me la dovrei prendere e tantomeno con la mia cara moglie”.
I coniugi si dichiararono molto soddisfatti anche perché, per limitare i capi di imputazione, la Staglieno aveva confessato i nomi dei ricettatori e così era stata rintracciata gran parte della refurtiva. “Mi dimenticavo di dirvi che la Staglieno aveva un complice”, aggiunse il brigadiere, “il fidanzato. L’aveva convinto ad accompagnarla in auto da voi, fare da palo mentre entrava nel giardino e scalava la terrazza, e ad attenderla in strada fino a notte inoltrata. Ora il fidanzato è nelle grane anche perché l’ha condotta a Genova dai rigattieri e dai ricettatori. Troppo innamorato!”. “Poverino”, chiosò Irene. “Se posso, brigadiere, mi potrebbe togliere una curiosità: come mai hanno rubato anche gli argenti e non solo l’oro?”. Il brigadiere rispose che a questa domanda, peraltro più che lecita, la Staglieno aveva dichiarato che il suo obiettivo era l’argenteria che aveva notato durante il finto sopralluogo. Una volta avvicinato alla porta d’ingresso il sacco dove aveva riposto con cautela gli argenti, era ritornata sui propri passi per verificare di non avere lasciato nulla di valore. Così aveva notato nello studio un quadro incernierato alla parete, da questa leggermente staccato, dietro il quale c’era una cassaforte con apertura a chiave. Si era messa a cercare la chiave nello studio, poi si era ricordata di avere notato, sempre durante il sopralluogo, un portachiavi di pelle nera sulla scrivania della camera matrimoniale. Cautamente si era avvicinata alla camera, la porta era aperta, era entrata e aveva preso il portachiavi, poi lasciato sul tavolo della cucina. “Ora avrei io un’altra domanda, brigadiere”, chiese a sua volta Luca. “La ragazza … come poteva essere certa di riuscire a lasciare la casa, una volta riunita la refurtiva?”. Il brigadiere rispose dicendo che la Staglieno, prima di rinchiudersi nel bagno della zona ospiti si era impossessata della chiave con l’anello, tipica di porta blindata, che aveva notato sul piattino durante il finto sopralluogo. Aggiunse che, se non l’avesse ritrovata, la Staglieno sarebbe ritornata sui propri passi e il furto non avrebbe avuto luogo. “Ora è tutto chiaro! Caso risolto, vero brigadiere? Grazie siete stati bravissimi!”, esclamò Luca. “Dovere. Grazie a voi per la collaborazione”.